Flick: «È una cattiva riforma. Ma se passa non è una catastrofe»

(Il Dubbio 18/10/2016)

«Non si può presentare una riforma evocando da un lato l'arrivo della età dell'oro, se si vota Sì, e dall'altro l'arrivo dell'apocalisse, se si vota No»: questa la convinzione del professor Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, già Ministro della Giustizia nel Governo Prodi I, in merito al dibattito sul referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre.

Secondo una corrente di pensiero l'iniziativa legislativa su questa riforma non doveva essere assunta dal Governo, dal momento che le riforme costituzionali devono essere di iniziativa strettamente parlamentare.
Non farei un discorso così rigoroso, non direi che le riforme costituzionali debbono essere prese su iniziativa "strettamente" parlamentare. Però l'articolo 138, parlando di cambiamenti della Costituzione, prende in considerazione il Parlamento e il corpo elettorale, non il Governo o il Presidente della Repubblica. Un padre costituente e costituzionalista autorevole ricordava che quando Parlamento e popolo discutono di riforma costituzionale i banchi del Governo devono restare vuoti; altrimenti capita quello che oggi si sta verificando: un coinvolgimento del Governo e quindi una trasformazione del referendum in un voto politico contingente su quel Governo. Il Governo precedente presentò su mandato del Parlamento la proposta di istituire una commissione legislativa di riforma della Costituzione; il Governo attuale è andato ben oltre, chiedendo e ottenendo la fiducia per la presentazione da parte sua di un testo di riforma.

Adesso Renzi sostiene di aver sbagliato a personalizzare il voto.
È positivo un riconoscimento di questo genere. Ma mi pare che nonostante la sua intenzione di fare marcia indietro il problema rimanga. Nel momento in cui il Governo si impegna in prima persona, in modo molto attivo, evidentemente il discorso sul referendum rischia di diventare o diventa una valutazione sul Governo.

Magari si sarebbe potuti giungere alla approvazione di questa riforma con più calma ed in maniera meno affrettata?
Diciamo con un minor protagonismo e un minor intervento pressante del Governo e con una maggior ricerca di coesione.

Anche l'iniziativa del disegno di legge costituzionale che nel 2001 portò alla modifica del Titolo V della Costituzione venne assunta dal Governo di allora.
Anche nel 2001 si è fatta, sbagliando, una riforma in fretta e furia, con pochi voti di maggioranza, per ragioni politiche contingenti - anticipare certe istanze della Lega - e sul finire della legislatura. L'iniziativa fu parlamentare, ma l'impulso decisivo venne dalla proposta del Governo; il risultato è sotto gli occhi di tutti e rende necessario il cambiamento.

La riforma Renzi-Boschi a detta di alcuni costituzionalisti contiene troppi rinvii a future leggi costituzionali e ordinarie e prevede un numero non irrilevante di adempimenti successivi.
La riforma punta molto su una serie di interventi successivi, in sede regolamentare e in sede di formazione o di modifica della legge elettorale. Tutto questo solleva qualche perplessità: questi interventi si faranno oppure rimarranno soltanto buoni propositi?

Un'altra critica che viene fatta è che il combinato disposto di questa riforma e dell'Italicum metterebbe le istituzioni in mano a una sola forza politica. In pratica, pur non toccando la forma di Governo, si verrebbe a creare una sorta di "premierato assoluto".
Siccome si sta discutendo se ed in che modo vada cambiato l'Italicum, un discorso di questo genere è prematuro. Vorrei tenere distinte le due cose: una cosa è la riforma costituzionale e gli errori che a mio avviso essa contiene; un'altra cosa è la legge elettorale (l'Italicum) che potenzia gli effetti di quegli errori. Cambiando la legge elettorale si attenuano ma non si eliminano gli errori della riforma; per questo mi lascia perplesso chi è contrario a quest'ultima, ma dice che la voterà se cambia l'Italicum.

Renzi ha voluto fortemente questa legge elettorale e poi nella direzione del Pd ha dichiarato di essere disposto a modificarla.
Un anno fa la legge sull'Italicum è stata approvata a colpi di fiducia dicendo che era la legge migliore possibile e che non era toccabile in alcun punto. A meno di un anno di distanza si decide di cambiarla. Non vorrei che lo stesso problema ce lo trovassimo di fronte fra qualche tempo con la riforma costituzionale.

Come giudica la composizione del nuovo Senato?
Male, perché continuo a pensare che una elezione non chiara nel modo in cui si svolge, con la partecipazione da un lato dei Consigli regionali e dall'altro - non si capisce bene come - del corpo elettorale, crea molti problemi e non dà una legittimazione sufficiente al Senato. Per fortuna qualcuno propone di tornare all'elezione diretta dei senatori, una soluzione che era stata già avanzata e respinta.

Se è solo la Camera a dare la fiducia al Governo, non pensa che l'elezione diretta dei senatori verrebbe a creare uno squilibrio istituzionale?
Non mi pare. Io credo che ci possa essere una Camera politica, come in esperienze di altri ordinamenti, una Camera cioè che si occupa più del discorso politico generale - la fiducia al Governo - e un Senato che si occupa di più degli interessi e della realtà territoriale.

E come giudica i compiti e le funzioni del nuovo Senato?
Il Senato dalla riforma è caricato di una serie di compiti molto impegnativi. Mi sembra difficile che possano essere svolti come doppio lavoro da parte di consiglieri regionali che dovrebbero già essere molto occupati nel lavoro di amministratori regionali. E mi sembra anche che l'attribuzione di tutta questa serie di funzioni al Senato, avvenuta progressivamente nelle discussioni sulla riforma, abbia un carattere di disorganicità.

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