Intervista a Guido Raimondi "TEMPI BIBLICI, COSI' SI INGOLFA ANCHE LA CEDU"


di Valentina Stella (Il Dubbio 12/1/2016)
Si è tenuto ieri presso l`Aula magna della Corte di Cassazione l`incontro dal titolo Fattore "tempo" e diritti fondamentali. Cassazione e Corte Edu a confronto. Organizzato dall`Ufficio dei referenti per la formazione decentrata, è stato coordinato dal padrone di casa, il primo presidente Giovanni Canzio, e ha visto la partecipazione del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Ospite d`onore Guido Raimondi, presidente della Corte europea dei diritti dell`uomo. Raimondi, commentando il lavoro della Corte di Strasburgo, ha stigmatizzato l`aumento esponenziale dei ricorsi. Segno evidente che qualcosa nei rimedi normalmente esperiti negli Stati non funziona. 
In Italia non è stato ancora introdotto il reato di tortura. Naturalmente è una questione di grande importanza. C'è una sentenza della Corte piuttosto nota - la sentenza Cestaro contro Italia - che riguarda i fatti della Diaz, avvenuti durante il G8 di Genova. In quel caso la Corte ha rilevato che ci sono stati diversi episodi di tortura. In questi casi si richiede una risposta adeguata, anche dal punto di vista della punizione dei responsabili, e la Corte ha trovato che da questo punto di vista l'ordinamento italiano è carente. Non ha proprio detto che secondo la Convenzione c'è un obbligo di introdurre il reato di tortura - questo casomai è un obbligo che viene da altri strumenti internazionali - però ha sentenziato che così com'è l'ordinamento italiano è insufficiente.
Dal Suo punto di vista sarebbe giusto quindi introdurre questo tipo di reato? Io non devo entrare nell'arena politica, ma mi sembra evidente che questo possibile sviluppo sarebbe estremamente positivo.
La Corte invece si è espressa sull'ergastolo ostativo e sul 41bis? Sul 41bis la Corte è stata chiamata a pronunciarsi diverse volte. Fino ad oggi non ha trovato una violazione della Convenzione, quindi per il momento l'Italia non è stata trovata in violazione a causa di questo regime speciale. Per quanto riguarda l'ergastolo ostativo la Corte non si è ancora pronunciata; ci sono dei ricorsi ma che non sono stati ancora esaminati.
Sono passati oltre 3 anni dalla sentenza Torreggiani. Il ministro Orlando sostiene che negli ultimi due anni la situazione carceraria sia migliorata. La sentenza Torreggiani è una sentenza pilota, non ha risolto solo il singolo caso ma è servita per moltissimi altri casi. Nel momento in cui la sentenza Torreggiani è stata emessa erano circa 3000 i casi pendenti contro il nostro Paese riguardanti il sovraffollamento carcerario: al momento questa si deve considerare una storia di successo perché le misure adottate dal Governo e dal Parlamento italiano sono state ritenute adeguate dalla Corte, che ha infatti rimandato questi 3000 ricorsi in Italia, che si è dotata di strumenti propri, preventivi e indennitari, per far fronte al problema. Se questi rimedi non dovessero funzionare adeguatamente, se ne ritornerà a parlare a Strasburgo.
Il Partito radicale, in concomitanza con il Giubileo dei carcerati, ha organizzato per il 6 novembre una marcia per l'amnistia a Roma. Concedere o meno l'amnistia è un giudizio che spetta prettamente alla politica. Certamente da cittadino italiano vorrei vedere una maggiore attenzione sul pianeta carcere per non correre il rischio di negare la dignità ai detenuti, che sono comunque persone che soffrono, nonostante il male che possono aver provocato.
Il nostro Paese ha ancora molte sentenze della Cedu non eseguite. Secondo lei questo non denota un atteggiamento dello Stato italiano scarsamente consapevole di queste pronunce?  Il contenzioso italiano è purtroppo molto consistente, i numeri sono purtroppo diversi rispetto a quelli di altri Paesi con i quali noi amiamo paragonarci, Germania, Gran Bretagna, Francia. Tuttavia questi numeri molto alti riflettono in gran parte un problema molto particolare che è quello del difettoso funzionamento della nostra macchina giudiziaria: l'eccessiva lentezza del processo. L'Italia si è anche munita di un meccanismo suo, la famosa legge Pinto, che permette di dare soddisfazione già davanti ai giudici italiani a chi abbia subìto un processo troppo lungo. Abbiamo avuto delle difficoltà di funzionamento: molto spesso le giurisdizioni Pinto decidono, concedono una indennità al ricorrente e poi questa indennità non viene pagata. Questo perché c'è una obiettiva difficoltà per le casse dello Stato di far fronte a questo. Il problema esiste e si ripercuote a Strasburgo. Dove la media di un procedimento è di circa un anno. Purtroppo è maggiore. La Corte è in grande difficoltà: attualmente abbiamo 76000 ricorsi pendenti che sono molti di meno di quelli che avevamo 4 anni fa, che erano circa 160000. Siamo riusciti a migliorare notevolmente la situazione. Ma il contenzioso rimane di proporzioni difficilmente gestibili e quindi non è raro il caso in cui le nostre sentenze arrivano con un ritardo che io non esito a definire inaccettabile. Tornando all'esecuzione delle sentenze in Italia, a me non risultano casi di difficile esecuzione. Quello che si può dire è che questo problema della lentezza della macchina giudiziaria, che pone un problema per la Convenzione, è stato identificato dalla Corte già 40 anni fa. E quindi c'è una lentezza dello Stato italiano nell'eseguire le sentenze nel senso che lo Stato italiano non è riuscito ad oggi a trovare un rimedio efficace. A differenza di quanto avviene con altri Paesi, però, non ci sono difficoltà di esecuzione delle sentenze della Corte europea motivate da ragioni politiche.
Per chiudere sulla lunghezza dei processi in Italia: la giustizia ritardata è giustizia denegata? Questo è un detto popolare che ovviamente ha la sua parte di verità.
Ad un cittadino fa paura entrare nella macchina giudiziaria oggi, non sapendo come e quando potrà uscirne. Questa è una consapevolezza anche del Governo italiano che mi pare di capire prenda oggi sul serio questo problema, che non è solo di coesione sociale perché rende difficile l'accesso alla giustizia, ma scoraggia anche gli investimenti. Spero che vi si metta mano in modo efficace.
Cosa ne pensa della proposta di rendere la maternità surrogata un reato universale? Su questo come presidente della Corte non posso rispondere in quanto la Grande Camera dovrà esprimersi a breve  sul caso Paradiso e Campanelli c. Italia (ndr la Corte di Strasburgo ha rilevato la violazione dell’art. 8 CEDU da parte dell’Italia in un caso concernente un minore nato da una madre surrogata in Russia e sottratto ai genitori a causa dell’inesistenza di un legame biologico con i coniugi), su cui la Corte si è già espressa con una prima sentenza che ora è all’esame della Grande Camera. Non è un segreto che il mio voto fu contrario.
A diversi esponenti politici non piace che la Corte intervenga sulle questioni bioetiche (embrioni alla ricerca, maternità surrogata, etc).  Sono questioni molto sensibili. Quando si tratta di questioni nuove, delle nuove sfide che la biologia pone al rispetto dei diritti umani, la Corte è e deve essere prudente: la Corte riconosce sempre a tutti gli Stati un ampio spazio di manovra, che viene definito “margine di apprezzamento”. Ci sono tanti modi di proteggere i diritti umani e la Corte riconosce la diversità culturale, politica, sociale, economica dei 47 Stati e quindi cerca di rispettare le scelte che vengono fatte a livello nazionale, ma ovviamente fino ad un certo punto. Quando matura una coscienza a livello europeo, cioè quando una certa soluzione più avanzata viene adottata da una maggioranza dei 47 Stati, allora la Corte diviene più propensa a imporre quella tendenza anche ai Paesi che sono più indietro. Nel caso Parrillo, che riguardava la donazione degli embrioni alla ricerca, la Corte ha stabilito che la scelta italiana di vietare quel tipo di ricerca andava rispettata. Tra dieci anni potrebbe decidere diversamente.
Il principio è che bisogna adattarsi ai tempi dunque? Certamente, ed è un principio della nostra giurisprudenza: la Convenzione è uno strumento vivente, non può essere letta oggi come lo era nel 1950.

Il 24 ottobre si celebra l'entrata in vigore dello Statuto dell'Onu. Nel mondo esiste ancora la consapevolezza dell' importanza dei diritti umani? Questo è un punto molto importante e delicato. Credo che in Europa, nonostante la crisi che investe tutte le istituzioni europee, la Corte goda ancora di un certo prestigio e di una certa credibilità. Però è vero che si è un po' rallentata la spinta fortissima che era riconoscibile all'indomani della seconda guerra mondiale, quando non c'era alcun dubbio sull'urgenza della difesa dei diritti umani. Oggi è diverso, sembra che si sia un po' persa quella memoria che invece va tenuta viva. 

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