Il Garante dei detenuti Mauro Palma: «Suicidio Marco Prato annunciato»

di Valentina Stella Il Dubbio 21 06 2017

«Nessuna sorpresa per un suicidio per molti versi annunciato» : è chiara la posizione del professor Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, sul suicidio di Marco Prato, nel carcere laziale di Velletri. Ora la procura di Velletri procede per istigazione al suicidio contro ignoti: «Credo sia un semplice atto formale, non penso sia stato istigato - commenta al Dubbio Palma - quello che bisogna fare è invece riflettere su come bisogna farsi carico dei soggetti che, pur avendo commesso dei reati orribili, hanno delle difficoltà psicologiche più grandi di quelle degli altri detenuti».
Vi era già stato un trasferimento a Velletri per Prato?
Nell’agosto dell’anno scorso, in occasione di una visita di controllo al reparto dei protetti ( quello che ospita reclusi per reati di natura sessuale, ndr), uno dei più fatiscenti di Regina Coeli, avevamo conosciuto Prato e più in profondità la sua situazione; appena saputo del primo trasferimento a Velletri pochi giorni dopo, siamo intervenuti manifestando la situazione difficile del detenuto e in quell’occasione l’amministrazione penitenziaria ci aveva dato retta e Prato era ritornato dopo pochissimo a Regina Coeli.
Quindi da tempo si conoscevano le criticità relative alla detenzione del ragazzo?
Il caso di Marco Prato si conosceva bene. Avevamo scritto al Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria e al Dap stesso e avevamo ricevuto risposte genericamente rassicuranti, in cui si precisava che non sarebbero tornati indietro nella decisione del trasferimento ma che comunque la situazione a Velletri era monitorata.
Ma questo non è l’unico aspetto problematico.
Una criticità sta anche nell’aver spostato una persona con problemi psicologici rilevanti, che aveva manifestato tendenze suicidarie, da un istituto ad un altro non sulla base di una valutazione di tipo diagnostico né discutendone con il detenuto stesso, come previsto dalle regole europee. Questa procedura non è stata seguita nonostante sia richiamata in una circolare del ministro della Giustizia volta proprio a ridurre il rischio suicidario. La seconda criticità sta nel fatto che il trasferimento a Velletri è avvenuto a seguito di una richiesta di Prato stesso di essere inserito in un reparto dove svolgere attività, come corsi di lingua inglese e francese per detenuti, diverso quindi da quello dei protetti, all’interno del quale si trovano una decina di reclusi. Le autorità dell’Istituto avevano rifiutato la richiesta, anche legittimamente nel senso che non per forza vanno accolte le istanze. Tuttavia in questa operazione, l’ipotesi di Marco Prato fu interpretata come una pretesa e quindi si innescò un meccanismo che oltre al rifiuto comportò il trasferimento a Velletri. Invece di potenziare il percorso intrapreso dal detenuto, lo hanno interrotto, quasi con la mentalità burocratica di chi dice “decidiamo noi, punto e basta”. La terza criticità sta proprio nel carcere Velletri che non ha una articolazione psichiatrica, è un istituto molto sovraffollato, dove al personale già fortemente stressato viene chiesto tanto.
Nella decisione di non riportarlo nel carcere romano ha giocato un ruolo la sovraesposizione mediatica del caso?
Secondo me sì, la paura che potesse sembrare un privilegio nei suoi confronti ha comportato un rifiuto. Tuttavia voglio ricordare che ci sono stati nel 2017 altri 22 suicidi di cui però nessuno si è occupato.

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