Telemedicina e terapia del dolore per aiutare i detenuti ammalati

di Valentina Stella (Il Dubbio 3 giugno 2017)

Terapia del dolore e telemedicina in carcere: questi i temi affrontati nella giornata di studio dal titolo ' Il punto sulla medicina penitenziaria: attualità, criticità, prospettive future', organizzata dall’Ordine degli Avvocati di Pisa e dalla Fondazione Scuola Forense Alto Tirreno, con il patrocinio del Consiglio Nazionale Forense. Prima dell’inizio dei lavori i relatori hanno fatto una visita alla struttura del carcere di Pisa, tra i 12 centri clinici penitenziari presenti in Italia. Come racconta l’avvocato Alberto Marchesi, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Pisa e moderatore dell’incontro, quello toscano «è l’unico centro clinico, insieme a Torino, all’interno del quale c’è una sala operatoria». Sono 220 gli interventi chirurgici effettuati nel 2016, di cui hanno usufruito detenuti di diversi istituti di pena.
Tuttavia ci sono delle criticità soprattutto dopo il trasferimento delle competenze sanitarie dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale e ai Servizi sanitari regionali. «Esiste una difficoltà sistemica nel dialogo tra strutture sanitarie - racconta Marchesi al Dubbio - ad esempio le Asl usano programmi informatici diversi per memorizzare le cartelle mediche elettroniche e spesso i dati non sono trasferibili telematicamente e si rischia così di perdere la copia cartacea quando un detenuto viene spostato in un altro carcere; poi c’è il problema dei Sert che non dialogano con le strutture sanitarie penitenziarie, e quello della degenza che i detenuti trascorrono in camere chiuse e con pochi spazi per le visite dei familiari che invece sono di conforto in una situazione in cui alla privazione della libertà si aggiunge la malattia».
Si sta, comunque, lavorando per migliorare la sanità in carcere con un progetto della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio: mettere a disposizione dei reclusi i vantaggi telemedicina. Già dal 2008 la Fondazione insieme all’Area della Ricerca di Pisa del Cnr ( Consiglio Nazionale delle Ricerche) sta portando avanti iniziative finalizzate alla diagnosi e cura delle malformazioni cardiache, attraverso cui si è riusciti a effettuare una visita cardiologica anche a bambini residenti in Romania, Albania, Serbia. Ora l’obiettivo è quello di far entrare questa tecnologia in carcere: «Con un investimento di poche migliaia di euro - conclude Marchesi - i benefici sarebbero enormi: potrebbe esserci una prevenzione capillare senza spostare i detenuti, un risparmio sugli spostamenti dei reclusi, l’ottenimento di una visita specialistica». Si è ora in attesa del placet da parte della Asl competente e della Regione Toscana.
Ma i problemi emergono anche per l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte dei detenuti, ossia agli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata con una prognosi infausta o con dolore cronico sia al suo nuritorio cleo familiare. Applicata in maniera disomogenea nelle varie regioni, e spesso non rispettandone tutti i punti, la legge 38 del 2010 «nelle carceri ha vissuto da ' latitante'» sostiene l’avvocato Francesca Sassano, relatrice del convegno e co- autrice insieme a Lorenzo Cristilli di ' Carceri, terdella senza dolore. La latitanza della legge 38/ 2010” ( Casa Editrice Florence- Art) e di ' Come applicare la legge contro il dolore – nel sistema penitenziario e non. La Legge 38 del 15 marzo 2010” ( Maggioli editore). «La mia non è una frase ad effetto ma solo una scoperta incredibile che è diventata oggetto di un mio studio da alcuni anni. L’applicazione di una legge è una conseguenza necessaria della sua vigenza, le possibili criticità possono sorgere solo dopo la sua applicazione. In questo caso, un po’ paradossale, siamo in partenza», dice l’avvocata Sassano che illustra il progetto che sta portando avanti col Consiglio Nazionale Forense affinché la legge venga finalmente applicata anche negli istituti di pena. «Il Cnf si è fatto portavoce - aggiunge Francesca Sassano - della necessità di garantire l’accesso a tutti i detenuti, perché la dignità della persona deve essere massimamente affermata proprio nel rispetto del diritto alla salute. Per questo l’ informazione e la formazione della comunità penitenziaria sono i prossimi obiettivi da perseguire. Sicuramente il circuito virtuoso che verrà a crearsi avrà una ricaduta sociale importante sia sulla adeguatezza delle cure in regime di detenzione, sia per contenere e diminuire il rischio suicidiario». In particolare, conclude Sassano «la formazione è diretta a sanitari ( medici e infermieri), avvocati, psicologi e ovviamente personale penitenziario, e anche ai destinatari, cioè i detenuti. È auspicabile che questa attività sia svolta in sinergia con la somministrazione di questionari e la elaborazione dei dati da essi ricavati e quindi che coinvolga la Università e gli Istituti di ricerca, con progetti specifici. Sul punto mi sto adoperando per realizzare su tutto il territorio e in ogni regione, utili contatti e coinvolgimenti di ricerca».

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