I corsi di cucina in cella dello chef delle star Usa

di Valentina Stella Il Dubbio 11 agosto 2017

È difficile credere che qualcosa di semplice come preparare o gustare una pizza possa cambiare delle vite. Ma è esattamente quello che sta succedendo da 6 anni dietro le mura del carcere della Contea di Cook, a Chicago. Il merito è dello chef italiano Bruno Abate che ha ideato il programma ‘ Recipe for change’ – Ricetta per il cambiamento – per offrire una opportunità di trasformazione ai detenuti, insegnando loro i segreti dell’arte culinaria. Nato a Napoli e cresciuto a Milano, Abate si trasferisce a metà degli anni Novanta a Chicago, dove apre due ristoranti di successo, prima “Follia” e poi “Tocco”, che si pregiano della presenza di clienti come Mariah Carey, Johnny Depp, Morgan Freeman e Clint Eastwood. Ma il suo tempo non lo impiega solo per deliziare i palati; 25 ore della settimana le trascorre all’interno del carcere per dare una chance ad alcuni reclusi tra i 9000 che in attesa di giudizio affollano l’istituto di pena di Chicago. Secondo alcune statistiche i detenuti liberati dalla prigione della Contea di Cook ritornano in carcere dopo 3 anni. Per scongiurare questo fenomeno della recidiva, Abate insegna loro un mestiere.

Chef Abate come nasce l’idea di recipeforchangeproject. org?

Una serie di coincidenze: 7 anni fa ero andato a trovare mia figlia in Italia e mi aveva raccontato di un’amica che aveva il padre in prigione ma stava bene perché lo facevano lavorare. La stessa notte rientrai in America: verso le 3: 30 del mattino, la mia Tv si accese all’improvviso da sola. Trasmettevano un documentario sulle carceri americane. Ero stupito del fatto che oltre 2500 minorenni fossero stati condannati all’ergastolo. Ho guardato per po’, e improvvisamente ho sen-È tito il bisogno di far qualcosa per migliorare le cose. Mi alzai, e iniziai a scrivere furiosamente per ore quello che dovevo fare. Quando mi sono svegliato la mattina, ho trovato 10 pagine. È come se Dio mi avesse fornito la mappa. Ma non sapevo a chi rivolgermi. Poi un amico è venuto nel mio ristorante, e ho scoperto che era il fratello dello sceriffo di Cook County, Tom Dart. Ha condiviso subito le mie idee e mi ha permesso di portare avanti il mio progetto.

Come è stata accolto dai detenuti?

Come un dono di Dio: i miei studenti sono felici, apprezzano il fatto che ci sia qualcuno che si interessi di loro, che gli restituisca la dignità.

Nella Costituzione italiana abbiamo l’articolo 27 che promuove la rieducazione del detenuto. Negli Usa manca un simile articolo in Costituzione. In Italia i carcerati vivono una condizione migliore, e anche la giustizia italiana ha più rispetto di loro e funziona meglio di questa. Il detenuto qui in America invece è considerato come uno scarto che non si può recuperare.

Qui in Italia le carceri non se la passano bene! In America i detenuti devono indossare una divisa, in Italia no: questo li disumanizza. Qui con 2 dolla- ri e 78 si coprono tre pasti, il 30% dei quali sono a base di soia. I detenuti hanno spesso problemi ai reni e al fegato per la cattiva alimentazione. E spesso io devo comprare i prodotti del bagno, altrimenti rischiano di non lavarsi.

In cosa consistono nel dettaglio i corsi, a che tipo di detenuti si rivolgono, come vengono selezionati e che prospettive offrono ai reclusi?

Partiamo dal comportamento da tenere in cucina insieme agli altri, l’igiene sanitaria, fino alla nutrizione, le spezie e le erbe fresche, la panificazione e la pasta fresca, i sughi e la pizza. Il 99% dei detenuti non conosce il basilico! La selezione viene fatta da persone qualificate all’interno del carcere. Nei miei corsi non possono accedere reclusi violenti, in attesa di giudizio per omicidi oppure per abusi sessuali. Le prospettive? Per quei pochi che non vengono condannati la nostra associazione trova loro un lavoro, anche presso il mio ristorante, e abbiamo un database che li segue e attraverso cui possiamo capire se ritornano in carcere. La cosa più importante è di dar loro qualcosa da sognare, qualcosa in cui sperare. Il mio programma riesce a salvare 200- 250 persone all’anno, spero di fare di più.

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