«Così gli Occhionero hanno spiato 3 milioni di mail »

Di Valentina Stella Il Dubbio 13 dicembre 2017

Prosegue il processo a carico di Giulio e Francesca Occhionero: ieri nuova udienza presso il Tribunale di Roma dinanzi al giudice monocratico Antonella Bencivinni. A quasi un anno dall’arresto dei due accusati di cyberspionaggio,  il pubblico ministero Eugenio Albamonte ha chiesto di ammettere agli atti nuovo materiale probatorio acquisito in un altro procedimento penale – ancora in fase di indagine – nei confronti dei due fratelli e che riguarda lo spionaggio politico (articolo 256 del codice penale, che punisce fino a 10 anni chi procaccia notizie concernenti la sicurezza dello Stato): nell’ambito di questo secondo procedimento la Polizia Postale, grazie alla collaborazione dell'Fbi, è riuscita a sbloccare i server utilizzati negli Usa dai due fratelli e  a decriptare i nove computer riconducibili agli Occhionero. “Questa ulteriore attività di indagine - ha spiegato in aula il pm - oltre a dare forza alla tesi accusatoria, attribuisce analoghe responsabilità agli imputati". Secondo la Procura, dall'analisi tecnica di questo materiale - la cui incidenza nel processo sarà oggetto di valutazione successiva da parte del giudice, alla luce dell'opposizione delle difese - è emerso che sono 3,6 milioni i messaggi di posta elettronica carpiti a partire dal 2004 dagli Occhionero e almeno 6149 gli utenti che possono essere stati vittime di spionaggio.  A margine dell’udienza abbiamo raccolto anche il parere dell’avvocato Roberto Bottacchiari che con il collega Stefano Parretta difende i fratelli Occhionero: “il PM Albamonte ha riferito di avere acquisito quattro nuove informative della Polizia Giudiziaria aventi ad oggetto la sintesi dei dati rilevati dai pc di Giulio e Francesca Occhionero e, su tale base, lo stesso PM, dopo avere espressamente escluso una integrazione dei reati contestati e l’allargamento della individuazione delle parti offesi, ha sostenuto che tali dati sarebbero rafforzativi delle tesi accusatorie e quindi ha chiesto d’assumere a testimonianza i quattro funzionari di PG. Il giudice ha ritenuto di non ammettere la richiesta del PM in quanto non è emersa la rilevanza delle invocate testimonianze ai fini del giudizio in corso. Il PM ha formulato la propria richiesta facendola precedere dalla suggestiva indicazione di una certa quantità di dati informatici, rispetto ai quali è però necessario sottolineare che si tratta della memoria di numerosi computer utilizzati per attività lavorativa in oltre un decennio. D’altronde, basti osservare che lo stesso PM non ha ritenuto di dover estendere l’accusa o l’area delle persone che egli ritiene siano state vittime di attacco informatico. Inoltre, la sua premessa muove nel senso di circoscrivere l’area di interesse dalla quale deve escludersi sia la sussistenza di danneggiamenti di natura informatica sia il coinvolgimento di enti pubblici o di profili inerenti la sicurezza nazionale. A bene vedere, quindi, le predette informative non consentono in alcun modo di ravvisare la sussistenza di novità di rilievo nello sviluppo delle indagini”.

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