L’avv. antimafia arrestato per mafia: 10 anni per scagionarlo

di Valentina Stella Il Dubbio 17 gennaio 2018

L’avvocato Giuseppe Melzi venne arrestato a Milano, dinanzi il suo studio, l’ 8 febbraio 2008 insieme ad altre 8 persone a seguito di una indagine dei Ros dei Carabinieri di Milano, denominata “Dirty Money” ( ex Tre Torri), avviata nel lontano 2001. Era accusato di “riciclaggio e agevolazione mafiosa”: secondo l’accusa aveva riciclato e reimpiegato capitali, attraverso un giro di società fittizie tra Svizzera e Italia, per un valore di circa 80 milioni di euro che erano il prodotto dei traffici illeciti della cosca della ‘ ndrangheta Ferrazzo di Mesoraca ( Crotone). L’avvocato Melzi ha scontato 291 giorni di custodia cautelare ( 89 in carcere e 202 a domicilio, quasi 10 mesi), e subìto la sospensione dall’attività professionale per 1.159 giorni ( 3 anni e 2 mesi). Nel 2009 la Procura chiese il rinvio a giudizio per gli imputati, ma il gup Paolo Ielo trasmise il procedimento a Cagliari per competenza territoriale. Melzi da allora sostiene di non aver avuto più aggiornamenti sulla sua vicenda giudiziaria. Il 4 aprile 2016 il procuratore capo di Cagliari, Gilberto Ganassi, e il sostituto Guido Piani chiedono al gip Mauro Grandesso Silvestri l’archiviazione di tutti gli indagati. Il 5 maggio giunge l’archiviazione ma nulla viene notificato all’avvocato Melzi che ne è venuto a conoscenza solo qualche giorno fa tramite un collega sardo.

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L’avvocato Giuseppe Melzi, che ha difeso i risparmiatori vittime del crack Ambrosiano e del fallimento della banca di Sindona, venne accusato nel 2008 di riciclaggio per i clan della ‘ ndrangheta. Vita privata e professionale rovinate. A dieci anni da quelle accuse il procedimento viene archiviato e non gli viene neanche comunicato.

Il primo febbraio 2008 inizia il suo calvario giudiziario.

È stato uno “tsunami”. Non riuscivo neppure a realizzare che il provvedimento cautelare e le ipotesi accusatorie riguardassero me e non unicamente soggetti che richiedevano la mia assistenza professionale. Non sapevo nulla della maggior parte dei fatti esposti nell’ordinanza di 279 pagine che mi veniva notificata. Conoscevo solo alcuni degli altri indagati e non ero mai stato interrogato dal Pm.

Lei ha subìto ingiustamente 291 giorni di custodia cautelare.

Nel carcere si perde la propria identità: una devastazione completa, che tronca improvvisamente la vita di relazione, gli impegni, gli interessi, la manifestazione degli affetti; in definitiva la propria realtà esistenziale.

Lei è passato da paladino dei piccoli risparmiatori ad imputato con l’aggravante della finalità mafiosa.

La mia attività professionale è sempre stata in difesa delle vittime della criminalità economico- finanziaria. Sono stato l’unico che ha denunciato pubblicamente che il mandante dell’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli era Sindona, mentre l’Ordine degli Avvocati di Milano non partecipò ai funerali e mi interrogò sulla fonte delle mie affermazioni. Nessuno deve essere considerato “intoccabile”, ma l’identità e la storia personale e professionale di ogni cittadino non possono essere ignorate e calpestate, in base a ipotesi, “teoremi” accusatori infondati e strumentali di magistrati, territorialmente incom- petenti e non solo. Purtroppo, “intoccabili” appaiono i giudici che non si confrontano con gli indagati e con i loro difensori, non rispettano le procedure e, in definitiva, non rispondono delle loro decisioni, né subiscono controlli e sanzioni.

Lei scrive “dell’irrisarcibile pregiudizio” subìto dal comportamento dei magistrati milanesi: cosa intende?

Il “pregiudizio”, i danni subiti dalla mia persona, dalla mia famiglia, dalla mia attività sono incalcolabili e, appunto, irrisarcibili.

Sulla stampa lei è stato definito “la mente finanziaria e legale dell’organizzazione criminale” e anche il “deus ex machina della cosca Ferrazzo’.

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