L’ultimo triste saluto ad Angelo Di Marco

di Valentina Stella Il Dubbio 6 marzo 2018

L’ultimo saluto ad Angelo Di Marco, il detenuto cinquantanovenne morto “vomitando sangue” in regime di carcerazione, si è svolto ieri mattina al cimitero di Prima Porta a Roma. Una celebrazione funebre alla presenza di pochissime persone, in una uggiosa giornata di pioggia: le due sorelle dell’uomo, dei volontari che lo avevano assistito in carcere, la sua legale Simona Filippi dell’associazione Antigone. «Angelo è morto il 15 febbraio ma solo oggi ( ndr ieri) è stato possibile salutarlo per l’ultima volta - ci racconta l’avvocata Filippi – perché i volontari hanno dovuto chiedere al Comune i soldi per il funerale essendo lui senza reddito. È stata una giornata molto triste».

La storia di Angelo di Marco ve l’abbiamo raccontata su queste pagine: era recluso da novembre nel carcere romano di Rebibbia. Doveva scontare una pena di poco inferiore ad un anno, ma soffriva di una grave cirrosi epatica, aveva avuto infarti e la sua situazione clinica era al limite: nonostante questo il tribunale di sorveglianza non solo gli aveva vietato la concessione dell’affidamento in prova ma aveva anche ritenuto che fosse compatibile con la carcerazione. «Angelo Di Marco ha subìto una vera e propria ingiustizia – prosegue col Dubbio l’avvocata Filippi – perché è entrato in carcere a causa della superficialità della magistratura di sorveglianza che non ha ritenuto di acquisire documenti che certificavano il suo stato di salute. Era un obbligo morale e giuridico».

Per quello che è accaduto la responsabilità non sarebbe da addebitare alla amministrazione del carcere e alla struttura sanitaria ma all’operato del magistrato di sorveglianza; per questo «con le sorelle di Angelo – continua la legale – stiamo valutando se presentare un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura». La strada che si potrebbe aprire a seguito di tale azione è quella di un provvedimento disciplinare nei confronti del magistrato di sorveglianza ma «l’esito non è scontato – conclude – bisogna tenere presente le dinamiche interne del Csm. Quello che però è da evidenziare è che sono pochi i detenuti e gli avvocati che decidono di intraprendere questa strada e ciò quindi permette a certi magistrati di scrivere provvedimenti imbarazzanti come quello che ha lasciato morire lontano da casa sua Angelo Di Marco».

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