“Uno dei delitti più gravi verso i detenuti è far perdere la speranza”

di Valentina Stella Il Dubbio 14 marzo 2018

Ieri, nella giornata di mobilitazione e di astensione contro la mancata riforma dell’Ordinamento penitenziario, che ha comportato la non celebrazione della maggior parte dei processi, come avverrà anche oggi, avvocati, tanti e agguerriti, e pochi magistrati si sono riuniti in un dibattito organizzato dall’Unione delle Camere Penali Italiane e dalla Camera Penale di Roma. I sentimenti prevalenti dei relatori sono stati quelli del pessimismo, essendo quasi scaduti i tempi per licenziare la riforma, della critica al ministro della Giustizia che nonostante le numerose promesse non ha portato a casa il risultato, ma anche di voglia di non mollare perché come ha ribadito in apertura l’avvocato Cesare Placanica, presidente della Camera Penale di Roma “si tratta di una battaglia che abbiamo il dovere di fare e solo noi col Partito Radicale possiamo portarla avanti. Siamo portatori di una cultura di minoranza che però non può e non deve arrendersi”.

L’incontro, che ha accolto i saluti e il plauso di Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense, è proseguito con l’intervento di Laura Longo, già magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Roma per la quale è sbagliato “marchiare le persone in base all’atto criminoso commesso, occorre restare aperti al cambiamento dei detenuti, individualizzare i trattamenti; eliminare gli automatismi significa restituire alla giurisdizione il potere che gli è stato tolto”. Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, si è invece appellato al capo dello Stato Sergio Mattarella “perché faccia sentire la sua voce, alta e sopra le parti, affinché si possa far fare alla riforma dell’ordinamento penitenziario l’ultimo piccolo passo che manca per la sua approvazione”. Il professore Giovanni Maria Flick, presidente emeritoresidente della Corte Costituzionale, ha richiamato un concetto molto caro anche a Marco Pannella, ossia la speranza: “uno dei delitti più gravi verso i detenuti è far perdere loro la speranza. C’è una responsabilità politica enorme in chi aveva garantito che la riforma sarebbe passata e poi non ha fatto in modo che avvenisse”.

Riccardo De Vito, presidente di Magistratura Democratica, tracciando una distanza con quei magistrati che anche nella Commissioni parlamentari sono andati a riferire ingiustamente che la riforma sarebbe stata uno svuota- carceri, ha sottolineato che “non ci sentiamo di tradire alcuna terzietà nel partecipare a questo incontro; se non l’avessimo fatto avremmo voltato le spalle alla nostra Costituzione.

C’è bisogno di questa riforma per motivi etici, sociali, costituzionali ma anche di sicurezza”. Per l’avvocato Riccardo Polidoro, Responsabile dell’Osservatorio Carcere Ucpi, “non c’è stata la rivoluzione culturale auspicata da Orlando. Alla politica è mancato il coraggio di avere una opinione pubblica educata sul senso della pena e della rieducazione”. Rita Bernardini, della presidenza del Partito Radicale, ancora in sciopero del- la fame per sollecitare l’approvazione della riforma, ha sottolineato come “Gentiloni e Orlando non hanno rispettato la parola data, si sono messi dalla parte di chi ha voluto elettoralmente condividere il dividendo della paura, e ora il provvedimento è oltre zona Cesarini”.

Il professor Giorgio Spangher, presidente dell’Associazione tra gli studiosi del Processo penale, ha fatto notare come tutte le nuove riforme “siano all’insegna della repressione, se pensiamo ad esempio all’omicidio stradale e al cyber bullismo. Nel caso della riforma dell’ordinamento penitenziario, la cultura giuridica non è mancata all’appuntamento ma ciò non è stato sufficiente, in Parlamento non si sono trovate le sponde necessarie, soprattutto in commissione giustizia. Il ministro Orlando poi ha avuto a cuore la riforma che ha preso il suo nome e non quella sull’ordinamento penitenziario. Occorre cambiare la filosofia sanzionatoria, bisogna intervenire sul sovraffollamento con una diversa logica sanzionatoria, prendere consapevolezza che la restrizione in carcere

non sempre risolve. La detenzione deve essere strumento residuale”.

Presente all’incontro anche Marisa Laurito che ha letto alcuni brani del libro “Un ambasciatore a Regina Coeli” dell’ex ambasciatore italiano di Buenos Aires, Claudio Moreno, in carcere per sei mesi da innocente e assolto dopo 14 anni. “Il carcere dà la misura – ha detto Moreno del non funzionamento del principio della riabilitazione del reo, affermato all’articolo 27 della Costituzione, a maggior ragione in presenza di un innocente. Si parla infatti di rieducazione del condannato, escludendo molte altre categorie che rappresentano la maggior parte della popolazione carceraria, cioè tutti quelli che sono in attesa di giudizio o peggio in carcerazione preventiva ancor prima del rinvio a giudizio. C’è poi il problema della carcerazione preventiva quando viene effettuata su vari indizi e solo su supposizioni senza riscontri, finendo per essere utilizzata da certi inquirenti come irresistibile mezzo di coercizione e di insostenibile pressione per ottenere prove che avrebbero dovute essere acquisite prima della decisione della custodia cautelare”. Le conclusioni sono state affidate a Beniamino Migliucci, presidente dell’Ucpi: “Il governo ha avuto paura di perdere consensi elettorali. Noi gli chiediamo di avere coraggio. La politica che non lo ha fa tristezza, non c’è nulla di peggio delle promesse non mantenute da parte dei politici, perché così si tradisce la fiducia dei cittadini; è sconcertante che sia passata l’idea sui mezzi di comunicazione che i ladri sarebbero usciti dal carcere, che questa riforma avrebbe pregiudicato la sicurezza: i politici avevano il dovere di dire ai cittadini che ciò non era vero”. Migliucci, quindi, ha ricordato alcuni dati che mostrano un quadro differente: ' per chi sta in carcere, la percentuale di caso di recidiva è del 70%, e scende al 30% per coloro che scontano la pena con misure alternative. Per chi lavora in carcere la recidiva è addirittura inferiore al 2%. Dopo 40 anni assistiamo al rifiuto di migliorare il sistema che sta di nuovo tornando alla situazione ante 2013: si sfora il numero di 58 mila detenuti”.

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