Riforma, il 18 l’ultima chance Avvocati: la battaglia continua

di Valentina Stella Il Dubbio 16 maggio 2018

Mentre ieri da Vienna il ministro Orlando dichiarava che “completare la riforma è tra le priorità fondamentali”, al Salone della Giustizia in corso a Roma si teneva il workshop “La riforma penitenziaria, l’articolo 27 della Costituzione e il ‘ buonismo’ dei padri costituenti” organizzato dall’Unione delle Camere Penali e dalla Camera Penale di Roma. Blando ottimismo da parte dei relatori però in merito all’atto finale dell’approvazione, più volte annunciata e altrettanto negata. Ha introdotto i lavori Beniamino Migliucci, presidente dell’Ucpi: «Anche se il 18 ci sarà l’ultimo Consiglio dei ministri che avrebbe l’ultima chance di approvare la riforma, essa al momento risulta tradita, anche se perfettamente in sintonia con l’art 27». E sulla responsabilità mediatica nei confronti del tema: «Non si racconta mai che a fronte di una sola persona che in permesso compie reato, ce ne sono altre 45.000 che sono ammesse alle pene alternative che non commettono reati. Poi va evidenziato che abbiamo il 34% di presunti innocenti in carcere».

Alberto Matano, conduttore del programma di Rai 3 “Sono Innocente” e autore del libro “Innocenti, 12 vite segnate dall’ingiustizia”, Rai- Eri edizione ha confessato: «Prima di questo programma ero un cittadino e un giornalista che non si soffermava sulla realtà del carcere e non avevo dubbi quando una persona veniva indagata. La presunzione di innocenza non esiste più, puntiamo subito l’indice e giudichiamo a prima vista. In carcere vengono riprodotte spesso le dinamiche criminali che stanno fuori: violenza, bullismo, minacce. Dal carcere si esce inquinati”. Rita Bernardini, della Presidenza del Partito Radicale, ha replicato: «Abbiamo lottato molto per questa riforma, compresi 20.000 detenuti che hanno rinunciato al vitto. La Rai è colpevole: i telegiornali sono esclusivamente puntati sui fatti di cronaca, sugli arresti di questo o quel potente. Non ci si può limitare solo a questo però. Papa Francesco ha parlato di amnistia in sostegno della lotta di Marco Pannella; persino il pontefice è stato censurato dalle televisioni in questa circostanza» . A moderare il panel di relatori Cesare Placanica, presidente dei penalisti romani: «I detenuti sono persone marginali e marginalizzate, non invochiamo grazia generica né impunità ma pretendiamo il rispetto dei diritti di chi è nelle custodia dello Stato». Ha dato poi la parola a Maria Antonia Vertaldi, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, al suo primo intervento pubblico da quando si è insediata nella capitale: «Siamo dinanzi a una crisi generale della società civile che non si sente sicura: per questo però non si può ricorrere semplicemente al carcere ma occorre prevenire. In merito all’art. 27: la prima fase della rieducazione deve tutelare e riconoscere i detenuti e i loro diritti a cui far corrispondere doveri e responsabilità. Certezza della pena non significa necessariamente carcere perché è definitiva ma comun- que flessibile. Noi magistrati di sorveglianza dobbiamo

cooperare per realizzare una dignitosa detenzione, dare significato alla pena e ridurre il rischio di recidiva. Poi c’è il rischio che la scarsezza delle risorse – a Roma mancano 4 magistrati di Sorveglianza - possa non consentire il cambiamento del trattamento detentivo». A replicare Santi Consolo, direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: «Non bisogna sempre lamentarsi per l’assenza di risorse e mezzi ma impegnarsi ancor più affinché si creino le opportunità. A breve ci sarà un protocollo del Dap con Autostrade spa per avviare ad attività professionale le persone in esecuzione. Ci daranno il know how per riparare le buche delle strade: questo è costruire sicurezza perché si recuperano le persone. Lancio la sfida a qualsivoglia forza politica perché è su queste cose che dobbiamo discutere. Tenere chiuse in una stanza delle persone significa incattivirle. Su 58.000 detenuti riusciamo a farne lavorare 19.000. Perché non raddoppiamo insieme questo numero? Così l’amministrazione penitenziaria diventerebbe la più importante impresa».

Per Lucia Castellano, direttore generale esecuzione penale esterna e di messa in prova del ministero della Giustizia «le pene devono corrispondere alla privazione della libertà. La mancanza di essa basta a essere una pena durissima. Ed è bene sottolineare che non può esistere solo carcere o nulla a fronte di un ventaglio di infrazioni del patto sociale a cui devono corrispondere diverse risposte». E a tal proposito ha presentato dei dati interessanti su chi è affidato a misure alternative, lavoro di pubblica utilità, misure sicurezze non detentive e sanzioni sostitutive aggiornate al 30 aprile 2018: affidamento in prova 15.748; semilibertà 912; detenzione domiciliare 10.978; messa alla prova 12.649; lavoro di pubblica utilità 7.356; libertà vigilata 3.857; libertà controllata 170; semidetenzione 6. Riccardo Polidoro, responsabile Osservatorio carcere UCPI, ha concluso: «Per l’opinione pubblica e per l’informazione il carcere è l’ultimo di problemi. L’ordinamento penitenziario prevede che il magistrato di sorveglianza è obbligato a comunicare al ministero se ravvede qualcosa che non va nelle carceri ma ciò non è mai successo, al ministero non è giunto quasi nulla ed è dovuta intervenire la Cedu nel 2013. Per questo la battaglia continua».

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